Cibo mentale
Ciò che noto attraverso il mio lavoro di psicologa é la forte correlazione tra comportamento mentale e dentale, tra processi fisici e mentali, lo strettissimo legame tra mente e corpo.
Questo mi ha portato a guardare i disturbi dell’alimentazione come sintomi di un disagio più profondo e a soffermarmi non sulle cause del disturbo ma sul vero significato della “malattia” e sul cosa serve al paziente averla sviluppata.
I termini anoressia e bulimia sono prototipi, definizioni comportamentali utili ad una categorizzazione, più importanti a tranquillizzare i medici che i pazienti.
Colui o colei che fa del cibo il proprio linguaggio per esprimere il dolore interiore, ben sa che non é il cibo il problema. Mi accorgo costantemente che la persona usa il sintomo per esprimersi, come modalità funzionale per adattarsi ad una realtà difficile.
Ad esempio incontro persone obese a cui serve essere obese : possono gridare così spudoratamente il proprio buco esistenziale; possono esprimere il loro desiderio di essere amate senza riserve; può essere ancora un modo per appropriarsi di un diritto a scegliere nella propria vita.
Per le ragazze anoressiche può essere funzionale denunciare la propria paura della vita attraverso il rifiuto di essa,simboleggiato nel rifiuto del cibo stesso; oppure il digiuno può consentire di ottenere un illusorio controllo sulla propria vita.
Per la bulimica il proprio rituale, riempirsi-svuotarsi, può rappresentare una metafora di ambivalente oscillazione vita-morte. Il rapporto col cibo diviene un rituale simbolico su cui vengono proiettate emozioni, conflitti irrisolti.
Insoddisfazione , inadeguatezza, incapacità di prendersi cura di se stessi, totale mancanza di autostima sono nascosti, o urlati attraverso l’ingozzarsi di cibo o nel suo rifiuto totale.
Molte cose le ho potute imparare studiando ma la conoscenza umana, lo stare con queste persone e con le loro famiglie, il prestare attenzione a quelle che sono le loro esigenze più intime, il riconoscere le loro paure, lo svelare i loro sogni, il delicato lavoro di ricostruzione del sé e delle relazioni interpersonali lo sto imparando sul campo con la messa in atto di un’attenzione al dolore, alla sofferenza, a quel grido muto da sempre inascoltato,di chi, non vuole più ingaggiarsi in una relazione significativa, “tanto nulla mai cambierà”.
Imparo da loro l’equilibrio difficile del vivere tra la vita e la morte.
Imparo da loro anche l’orgoglio, la caparbietà e la fierezza nella loro convinzione di poter fare a meno di tutto e di tutti, che cela il tradimento originario dell’essere stati poco guardati, poco riconosciuti.
Imparo da loro l’attesa paziente, oltre che la lotta strenua contro la malattia.
Mi commuovo quando il ghiaccio comincia a sciogliersi e quelle emozioni a lungo trattenute ridonano calore e colore a uno sguardo, struggente e triste.
Sto imparando ad andare oltre quella cortina di ferro che impedisce a chiunque di avvicinarsi. Sto imparando come fare piano, come essere delicata, come quando si spolverano bambole di porcellana.